martedì 23 giugno 2009

Una settimana da “paura”

SANTA FEBBRE! Quella che per una settimana mi ha tenuto lontana dall’ufficio stampa! Sono stati giorni “meravigliosi” quelli trascorsi in pace e in tranquillità con me stessa. Quelli in cui ho potuto riscoprire la soddisfazione che deriva dal non prendere ordini: “Sai Ele… Oggi c’è da lavorare per quest’evento. Quindi devi sentire prima Tizio per capire che intenzioni ha. Poi devi fare questo, dopodiché fai questo e poi quest’altro ancora. Ah! quasi dimenticavo: ricordati di chiamare Caio. È sempre un po’ lento, quindi mettigli pressione. Io devo scappare. Ho delle cose urgenti che non posso rimandare. Resterei volentieri a darti una mano, ma so che sai cavartela anche da sola. Siamo così fieri di te!!! Senza di te non sapremmo come fare!”. E se per te la cosa più sensata da fare in quel momento è imprecare, ti vedi costretta a sorridere e a dire: “Oh! Ma cosa vuoi che sia! Non ti preoccupare! Ci penso io!”.

Poi arriva il giorno in cui finalmente hai la facoltà di dire: “Ah! Accidenti! Ho una leggera sindrome influenzale (questo è quello che mi hanno detto al pronto soccorso). Per un po’ di giorni mi sa che non potrò venire. Quanto mi dispiace, non potete capire!”.

Non capita tutti i giorni di avere una febbre da cavallo che ti immobilizza a letto e ti fa esultare di gioia ogni volta che il termometro segna solo 39°, perché qualche ora prima rischiava di esplodere avendo sfiorato i 41°!   Per cui, niente rassegna stampa, niente comunicati stampa, nessun responsabile da sentire, niente liste contatti e soprattutto niente fiato da sprecare al telefono con giornalisti che non ti si filano neanche di striscio!   Durante questa settimana ho finalmente fatto quello che non ho potuto fare in mesi e mesi di lavoro e di lezioni all’università: dormire (essendo una pezza, non potevo fare altro…), mangiare di rado (visto che qualsiasi forma di cibo cercassi di ingerire, veniva velocemente espulsa dal mio corpicino esile esile…), o guardare la tv (è stato meglio non accenderla!).

Insomma… sono stati giorni “meravigliosi, come appunto dicevo prima, quelli trascorsi a letto con i brividi alle ossa e con temperature interne glaciali, mentre fuori si respirava già la brezza dolce e leggera del vento caldo d’estate. Giorni “epici”, quelli passati a fare avanti e indietro dalla mia stanza a quello che in poco tempo è diventato la mia più grande spalla: il bagno (per mantenerci sul soft).

Giorni… direi… mmm… veramente… ORRENDI, NOIOSI, LAGNOSI, MONOTONI!   Oggi sono ritornata a lavoro. La prima cosa che ho pensato è stata: VIVA LA NORMALITA’.

lunedì 8 giugno 2009

Vendo le olive… e sono felice!

Ebbene sì, sono felice di vendere le olive. E’ un lavoro divertente che ha un suo perché e soprattutto una sua storia.
Fino a due anni fa lavoravo in un negozio di moto come segretaria. Poi sono stata licenziata. Per fortuna non avevo un affitto da pagare, però l’idea di ritrovarmi di nuovo senza un soldo mi aveva gettato nel panico più totale. Avevo appena iniziato la specialistica ed uno stage, che mi impegnavano tutto il giorno per sei giorni la settimana. Stavo per cedere e mollare una delle due cose per trovarmi un lavoro part-time, quando è arrivata una manna dal cielo; o meglio, dal mercato sotto casa.
La mia manna si chiama Giulia ed è meglio conosciuta come “l’olivara”. La conosco da quando avevo nove anni. Avevo lavorato per lei una volta a Natale, mentre il resto dell’anno mandava avanti il banco da sola, con l’aiuto del marito. Giulia non ha mai assunto nessuno, ma quando ha sentito che ero stata licenziata, ha offerto un lavoro a me, fregandosene della crisi e di tutto il tempo che avrebbe perso a insegnarmi i prezzi e “dove sta l’origano”.
E così ho trovato il lavoro ideale, che mi ha permesso di continuare a fare tutto il resto, perché mi impegna soltanto il sabato mattina e che mi consente di uscire il sabato sera, comprare una maglietta o fare i regali di Natale senza chiedere ai miei.
Mi alzo comodamente alle 7.30 (facciamo anche le 8) e mi immergo in un mondo fatto di profumi e sapori, dei sorrisi della gente, rallegrata dalle grida provenienti dai banchi accanto (“A Mary, qua è tutto vero!”) e dalle battute dei clienti.
E dopo migliaia di bruscolini (semi di zucca per i non-romani) versati a terra, resti sbagliati, e bottiglie infrante oggi anch’io posso finalmente gongolare dei complimenti dei clienti.
Più che un lavoro è un diversivo con cui spezzare il ritmo studio-stage. Mi diverto un mondo con le palette che usiamo per raccogliere olive e legumi e metterli nelle bustine. Giulia ormai è un’amica, ci facciamo delle chiacchierate favolose e ci vediamo anche fuori dal lavoro. Lei dice che ormai siamo una coppia vincente e non potrebbe fare a meno di me. Io, nel frattempo, ho preso dieci chili per tutte le olive che ho mangiato da quando sono qui. So che non dovrei, soffro pure di gastrite, però è più forte di me, al richiamo delle olive ormai non posso più resistere…